Amazon Prime è un programma fedeltà?

Amazon Prime compie 10 anni e supera i 40 milioni di iscritti in Usa. In assenza di dati ufficiali dell’azienda, diversi analisti in questi giorni hanno rilasciato varie stime sul valore dei clienti iscritti a questo servizio di Amazon. Confrontando le diverse fonti, emerge che il cliente iscritto a Prime spende in media all’anno tra 1100 e 1500 $, contro una spesa media dei clienti “non Prime” stimata tra 625 e 700 $.

 

Non c’è da stupirsi: sappiamo da sempre che i clienti heavy users di un retailer sono i più interessati ad iscriversi al programma fedeltà dello stesso, a maggior ragione quando si tratta di un servizio prepagato, la cui fee (9,99€ in Italia ma ben 99$ in Usa) risulta una barriera all’entrata per light users e occasional shoppers. Invece di confrontare la spesa di iscritti e non iscritti, sarebbe più interessante capire se l’appartenenza a Prime ha generato nel tempo uno sviluppo dello spending del cliente iscritto. Questo è l’obiettivo di Amazon e dei loyalty program (ma l’azienda non lo dice…).

 

Amazon Prime, nonostante le critiche di chi non lo considera un programma fedeltà, perché non ha la meccanica dei punti e non offre un ventaglio di rewards, a nostro avviso è invece la forma più evoluta di loyalty marketing: quello che chiamiamo “loyalty servizio”.

 

Fare fidelizzazione infatti passa attraverso tre fasi: al primo livello stanno le iniziative che chiamiamo “loyalty di massa”, ovvero i programmi fedeltà che “distinguono chi è dentro da chi è fuori”, come le buone vecchie carte fedeltà dei supermercati, fino a qualche tempo fa (giacché anche qui qualcosa sta cambiando). Al livello successivo stanno le iniziative che chiamiamo di “loyalty micro” perché c’è la capacità di leggere i comportamenti dei clienti e tradurli in proposte targettizzate, offerte di prodotti che interessano, comunicazione personalizzata, reccomendation, insomma tutto quello che fa sentire il cliente parte di un dialogo one to one basato sulla conoscenza delle sue preferenze. Anche a questo livello i più oggi sono arrivati, cosicché la frontiera della differenziazione si è spostata ancora.

Siamo entrati nella fase della “loyalty servizio”, ovvero oggi il cliente si fidelizza a chi usa gli insight sul suo comportamento e preferenze per sviluppare un servizio che gli semplifica la vita in un ambito di suo interesse.

 

Si tratta quindi innanzitutto di capire i processi di acquisto del cliente e individuare i momenti dove un supporto da parte dell’azienda avrebbe per lui grande valore.

Amazon ha studiato la customer experience dei sui clienti e ha individuato il principale elemento di frizione che era rimasto in un processo di acquisto sul quale l’azienda ha già lavorato per anni per renderlo straordinariamente efficace: il momento della scelta delle opzioni di spedizione. Giunto qui, il cliente è preso dal dubbio sul trade off tra tempo di attesa e costi aggiuntivi, cui si sommano i timori sul buon esito della delivery (che, seppur latenti, nell’acquisto a distanza esistono sempre), e sul fare la scelta sbagliata. Tutta questa incertezza può far desistere dall’acquisto. Dare una soluzione una volta per tutte rimuove l’ultimo ostacolo alla conclusione dell’acquisto.

 

Una volta ingaggiato il cliente, ogni buon programma loyalty che ha dietro un brand credibile fa leva su quest’ultimo per proporre nuovi prodotti e servizi che conquistino una share incrementale del wallet del cliente. E poiché i programmi che arrivano alla loyalty “servizio” hanno già attraversato la fase “micro”, faranno leva sugli insight di cliente per far sì che le proposte siano perfettamente mirate. Infatti, in Usa Amazon Prime oggi propone ai clienti molti altri prodotti e servizi: dallo streaming di film e show televisivi al prestito di e-book per Kindle.

 

Il test cui sottoporre le nostre iniziative di marketing per capirne il potenziale fidelizzante è diventato una semplice domanda: quale piccolo (ma significativo) problema del cliente risolviamo?

 

 

 

 

 

 

 

 

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